SPIRIT OF AMERICA

America is a land of wonders, in which everything is in constant motion and every change seems an improvement ----------------------- ALEXIS DE TOCQUEVILLE

Monday, February 27, 2006

Potere al maschile, torna la famiglia patriarcale

La demografia sta trasformando il mondo e dall'ultimo rimescolamento di carte potrebbe uscire una sorpresa: il ritorno in grande stile, su scala planetaria, della famiglia patriarcale, accompagnato da un maggior potere a chi sostiene idee conservatrici. Dalla Cina al Giappone, dalla Russia a - soprattutto - l'Europa, troppe culle sono vuote e i single o le famiglie con un solo figlio sono destinati a venir spazzati via dai nuclei familiari 'di una volta'. Almeno questo e' lo scenario che prevede Foreign Policy, la rivista del think tank americano Carnegie Endowment, che dedica al futuro 'potere del maschio' la copertina dell'ultimo numero, raccontando gli studi di Phillip Longman della New America Foundation e le analisi anche della Cia sull'andamento demografico in particolare dell'Asia. Da oltre una generazione, in varie parti del mondo sta crescendo la tendenza a fare meno figli, alimentata da fattori diversi: i postumi del femminismo, le politiche che non incoraggiano a metter su famiglia e procreare, la stessa mentalita' liberal. Tutto questo, sostiene Longman - sapendo di non presentare idee all'insegna del 'politically correct' - e' destinato a sparire. ''Le societa' avanzate, che piaccia o no - afferma lo studioso - diverranno sempre piu' patriarcali. In aggiunta alla maggiore fertilita' dei segmenti piu' conservatori della societa', la riduzione dello stato assistenziale provocata dall'invecchiamento della popolazione, dara' a questi elementi un vantaggio aggiuntivo di sopravvivenza, e quindi alimentera' anche maggiore fertilita'''. I figli che usciranno dalle famiglie patriarcali, poi, saranno portati a preservare in buona parte gli stessi valori. Per sostenere la tesi, Foreign Policy attinge alla storia fin dall'eta della pietra, alla Teoria dell'Evoluzione e alle analisi sociologiche e demografiche contemporanee, per concludere che gran parte del mondo si appresta a imboccare un ciclo che in passato ha favorito le famiglie patriarcali. Tra i paesi che piu' risentiranno del fenomeno ci sarebbero Cina, Germania, Giappone, Spagna e anche l'Italia. Uno degli esempi utilizzati da Longman per spiegare la presunta svolta, e' quello degli Stati Uniti. La percentuale delle donne nate alla fine degli anni '30 e rimaste senza figli era del 10%, mentre quasi il 20% delle donne nate alla fine degli anni '50, passate attraverso il Sessantotto e la rivoluzione sessuale, stanno raggiungendo l'epilogo della loro vita riproduttiva senza figli. Questa fetta di popolazione si lascera' alle spalle non solo nessuna eredita' genetica, ma anche scarsa influenza culturale e psicologica sulle nuove generazioni. Nello stesso tempo, le famiglie con un solo figlio sono nel lungo periodo destinate all'estinzione, perche' il figlio 'rimpiazza' nel mondo solo uno dei due genitori. A crescere e' invece la famiglia con molti figli, che si riproduce non solo in termini numerici, ma anche come influenza sulle generazioni successive. ''Una dinamica - afferma lo studioso - che aiuta a spiegare il graduale passaggio della cultura americana da un secolarismo individuale a un fondamentalismo religioso. Negli Stati che hanno votato per George W. Bush nel 2004, i tassi di fertilita' sono il 12% piu' alti di quelli che hanno votato per John Kerry''. In Europa si manifesteranno fenomeni simili e analoghe svolte conservatrici, prevede lo studio. In Francia, per esempio, tra le donne nate nei primi anni '60 meno di un terzo hanno tre o piu' figli, ma hanno prodotto piu' del 50% di tutti i bambini nati dalla loro generazione. Trattandosi in larga misura di famiglie patriarcali cattoliche o musulmane, la tendenza che trasmetteranno sara' quella di un sostanziale conservatorismo. La storia dell'umanita', secondo Foreign Policy, dimostra che c'e' bisogno di figli e che se i livelli di popolazione vengono minacciati, si innescano meccanismi - come la ripresa del 'potere' da parte del maschio - che permettono di superare gli squilibri. Ma le conseguenze sono enormi. Gli studi per esempio di Valerie Hudson, una ricercatrice della Brigham Young University che lavora su questi temi come consulente della Cia, indicano che in Asia sta esplodendo una popolazione eccessivamente maschile, anche per effetto degli aborti mirati di femmine che sono stati frenati solo in tempi recenti. Gli effetti non si faranno attendere. La Cine prevede di avere entro il 2020 circa 40 milioni di uomini scapoli e potenzialmente frustrati. Uno scenario che preoccupa il governo di Pechino, sempre nervoso di fronte a fenomeni che provochino instabilita' sociale. Ma e' e' inquieta anche la Cia, che nei propri rapporti sui rischi del futuro ipotizza che questa massa di uomini senza compagne possa indirizzarsi verso il fondamentalismo o alimenti violente tendenze nazionaliste

Tuesday, February 21, 2006

Le bombe dimenticate, USA ora possono annientare la Russia

Dopo mezzo secolo d'equilibrio basato sulla paura, un'intera era nucleare sembra giunta al traguardo. Mentre tutta l'attenzione del Pentagono in apparenza e' concentrata sulla guerra al terrorismo, uno studio riporta in primo piano il clima della Guerra Fredda. L'aggiornamento tecnologico negli Usa e i problemi degli arsenali atomici di Russia e Cina, avrebbero ridato per la prima volta dagli anni '50 all'America l'opzione del 'primo colpo', cioe' d'un attacco nucleare che annienti la possibilita' del nemico di reagire. In un articolo sulla prestigiosa rivista 'Foreign Affairs', due professori universitari raccontano come, con una simulazione e analizzando le ultime mosse del Pentagono, abbiano raggiunto la conclusione che e' finito lo stallo conosciuto come 'Mutual Assured Destruction' (Mad), cioe' la consapevolezza avuta per decenni dalle due maggiori superpotenze che un attacco nucleare sarebbe stato suicida. Per Keir Lieber (University of Notre Dame) e Daryl Press (University of Pennsylvania), la Mad ha garantito dalla fine degli anni '50 l'equilibro del terrore, ma ora il Pentagono ha accelerato proprio mentre Mosca e Pechino sono nei guai con i loro arsenali atomici. L'intera strategia militare americana, compreso il controverso programma dello Scudo Spaziale - in corso di realizzazione - secondo lo studio va riletta alla luce del fatto che il Pentagono si appresta a mettere nelle mani della Casa Bianca il potere che deriva dalla consapevolezza di essere in grado di compiere un 'first strike' (primo colpo) nucleare contro il nemico senza temere conseguenze. Nell'ottica di Lieber e Press, lo Scudo non e' uno strumento difensivo - come sostiene l'amministrazione Bush - ma e' in realta' offensivo e ha senso solo se considerato insieme alla possibilita' del 'primo colpo'. Il lancio simultaneo di molti missili balistici da parte di un nemico potrebbe, infatti, rendere inutile lo Scudo, ma gli esperti ritengono che il suo uso sia quello di garantire l'annientamento di eventuali missili solitari che sopravvivano a un attacco Usa: la garanzia finale, insomma, del successo di un attacco nucleare americano su larga scala. Il numero delle testate nucleari di cui dispongono Usa e Russia e' garantito dai trattati sottoscritti dai due Paesi, ma secondo Lieber e Press, l'attuale supremazia americana e' dovuta non ai numeri, quanto alla qualita' delle armi disponibili. Dalla fine della Guerra Fredda, gli Usa hanno progressivamente migliorato il loro arsenale, a partire da quello sui sommergibili, sui quali sono stati installati i sofisticati e precisi missili Trident II D-5. Il rafforzamento della presenza della Us Navy nel Pacifico, con un gran numero di armi nucleari, secondo lo studio, offre agli Usa la possibilita' di facili lanci sulla Russia in un'area poco coperta dai radar. La Us Air Force ha inoltre appena finito di dotare i bombardieri B-52 con missili da crociera a testata nucleare, mentre gli 'invisibili' B-2 sono in grado ora di essere armati con bombe nucleari con un piu' accurato controllo. La Russia, nello stesso tempo, ha il 39% di bombardieri a lungo raggio in meno rispetto all'Unione Sovietica, il 58% in meno di missili intercontinentali e 80% in meno in termini di missili lanciabili da sommergibili. I sottomarini in particolare, secondo lo studio, sono allo sbando e compiono in media due missioni all'anno, rispetto alle 60 l'anno dei sommergibili sovietici fino al 1990 e alle 40 degli americani oggi. Per la maggior parte del tempo, i sommergibili restano nella basi per essere riparati e sono un bersaglio facile per un eventuale 'first strike'. Mosca inoltre e' a corto di soldi per mantenere aggiornato il proprio network di missili nei silos e il sistema dei radar per un allerta preventivo - indispensabile per lanciare un contro attacco - e' pieno di falle. La Cina, secondo Lieber e Press, e' messa anche peggio, le sue testate sono poche, i silos sono poco protetti e i cinesi non tengono neppure i missili pronti con il carburante per il lancio (l'operazione di rifornimento richiede due ore). La ventina di siti nucleari cinesi sarebbero facile preda per un attacco Usa. Una simulazione computerizzata eseguita da Lieber e Press, prevedendo tutte le condizioni piu' ottimiste per Russia e Cina e i peggiori scenari per gli Usa, ha mostrato come in tutte le varianti possibili l'America sia attualmente in grado di annientare l'avversario prima ancora che Mosca o Pechino possano rendersi conto di essere sotto attacco nucleare. Quali siano le conseguenze di quello che emerge come un nuovo predominio nucleare, secondo gli studiosi e' difficile da prevedere. ''La saggezza di perseguire un primato nucleare deve essere valutata nel contesto degli obiettivi di politica estera degli Usa'', affermano gli esperti, per i quali il predominio fara' la gioia dei falchi del governo, preoccupera' le colombe e provochera' allarme nei 'gufi', coloro che temono che un errore o un incidente nucleare possano scatenare catastrofi.

Tuesday, February 14, 2006

Happy America, studio svela una inguaribile felicita'

Il fenomeno non e' certamente diffuso a macchia d'olio: essere ricchi, bianchi, sposati, religiosi o repubblicani sembra che aiuti. Ma al di la' dei dettagli, 230 anni dopo aver sancito nella loro Dichiarazione d' Indipendenza il diritto degli uomini a essere felici, gli americani continuano per la stragrande maggioranza a ritenere che il paese in cui vivono sia sulla strada giusta per aiutarli a centrare l'obiettivo. Confermandosi inguaribili ottimisti, l'84% degli americani si definiscono abbastanza o molto felici. Uno stato d'animo che resiste da decenni e che ha attraversato pressoche' indenne disastri di ogni genere, dalla crisi del Vietnam al crollo della New Economy e all'11 settembre. Il centro studi Pew Research Center, nel suo ultimo rapporto sulla felicita' negli Stati Uniti, ha evidenziato il carattere imprevedibile della contentezza degli americani: era ai suoi massimi per esempio nei primi anni Settanta, in mezzo ai postumi della caduta di Saigon, dell'impeachment di Nixon e della crisi energetica. Mentre gli europei, sondaggio dopo sondaggio, indicano di vedere il mondo sempre piu' a tinte scure, l'America sembra continuare a ispirarsi al celebre brano di Bobby McFerrin, 'Don't worry, be happy'. Il 34% del campione esaminato dagli esperti del centro Pew ha preso alla lettera l'esortazione e si definisce 'molto felice', mentre il 50% degli americani sono 'abbastanza felici' e solo il 15% esprime tristezza. Passare da queste percentuali alle ragioni della felicita', e' piu' difficile. Lo studio prova a proporre una serie di fattori che sembrano aiutare. Sui soldi, per esempio, gli americani smentiscono il vecchio adagio e si dicono convinti che rendano felici. Circa la meta' delle persone intervistate in famiglie che guadagnano piu' di 100.000 dollari l'anno si sono dette molto felici, rispetto a solo il 24% tra coloro che portano a casa meno di 30.000 dollari. L'indice della felicita' sale progressivamente, nel rapporto del Pew, con l'aumentare del reddito familiare. Rendendo pubblico il rapporto in occasione della festa di San Valentino, gli addetti alle pubbliche relazioni del Pew hanno avuto buon gioco nell'attrarre l'attenzione su un altro fattore emerso dalla ricerca. Il 43% delle persone sposate si dicono assolutamente felici, battendo i single con un rapporto di 2-1. Un dato che ha fatto subito insorgere qualche addetto ai lavori. Come l'avvocato Raoul Felder, celebre 'divorzista delle star', secondo il quale pensare che il matrimonio dia la felicita' e' ''una bugia di massa''. ''Le persone che cercano un divorzio - ha detto Felder al Washington Post - sono in realta' piene di speranza, vogliono diventare piu' felici''. Avere figli, a prescindere dall'essere o meno sposati, fa salire verso l'alto l'indice della felicita', cosi' come essere in buona salute, con un lavoro e con una buona educazione. Tutte indicazioni abbastanza scontate, mentre hanno fatto piu' discutere, tra gli esperti, i risultati legati alla religione e alla politica. Il 45% dei repubblicani sostengono di essere molto felici, contro il 30% dei democratici, che negli Usa sono all'opposizione da anni. Ma il merito non sembra essere del fatto che George W.Bush siede alla Casa Bianca e il Congresso e nelle mani del partito del presidente. Storicamente, annota la ricerca del Pew, i repubblicani da 30 anni sono piu' felici e lo sono stati in misura maggiore sotto presidenze democratiche come quelle di Jimmy Carter o Bill Clinton. Quanto alla fede, chi la domenica va in chiesa si dice piu' felice di chi resta a letto e i protestanti sbandierano una maggiore felicita' dei cattolici. I bianchi protestanti evangelici battono tutti: il 43% di loro e' 'felicissimo', contro il 38% dei cattolici praticanti.

Sunday, February 05, 2006

Intervista sulla pena di morte

Una mia intervista sul libro di Richard Rossi e' in rete sul sito Infinitestorie.

Saturday, February 04, 2006

Il Pentagono vara la 'Lunga Guerra'

La definizione ha cominciato a circolare all'inizio di gennaio, prima nelle parole dei generali, poi nei documenti ufficiali del Pentagono. Adesso e' arrivato il battesimo definitivo, affidato al discorso sullo Stato dell'Unione di George W.Bush e al piano quadriennale della Difesa di Donald Rumsfeld: gli Stati Uniti sono impegnati in quella che ora viene chiamata la Lunga Guerra. Nei piani dei militari, la 'guerra globale al terrorismo' ha gia' lasciato il posto al nuovo titolo. ''Questa generazione sara' impegnata probabilmente per almeno i prossimi 20 anni in quella che noi ora chiamiamo la Lunga Guerra''', ha detto il generale Ray Odierno, uno dei leader degli Stati Maggiori del Pentagono. Rumsfeld ha dato il via in questi giorni a una serie di conferenze stampa ed eventi pubblici per lanciare il piano della Difesa per i prossimi quattro anni. Il titolo dei suoi discorsi e' sempre quello: 'La Lunga Guerra'. Dietro all'etichetta, i contenuti sono quelli di una radicale trasformazione delle forze armate americane, per renderle piu' flessibili e agili, con un maggior numero di reparti delle Forze Speciali e una maggiore capacita' di reagire in fretta negli scenari della guerra 'assimetrica' al terrorismo. La Casa Bianca mesi fa non aveva gradito il tentativo degli esperti di pubbliche relazioni del Pentagono di cambiare lo slogan della guerra al terrorismo in una piu' vaga definizione di scontro contro l'estremismo violento nel mondo. Sulla Lunga Guerra sembra invece esserci sintonia all'interno dell' amministrazione Bush, che tenta di proporre agli storici lo scenario di un confronto paragonabile, sia pure con caratteristiche diverse, alla Guerra Fredda o alle Guerre Mondiali. ''La nostra generazione - ha detto Bush nel discorso sullo Stato dell'Unione - e' impegnata in una lunga guerra contro un nemico determinato, una guerra che sara' combattuta da presidenti di entrambi i partiti, che avranno bisogno di un solido supporto bipartisan dal Congresso''. Le modalita' con le quali gli Usa intendono affrontare questa sfida sul piano militare, sono contenute nella corposa Quadriennial Defense Review. Si tratta del primo piano quadriennale interamente concepito nel clima post-11 settembre, perche' nel 2002 il Pentagono presento' un piano per i quattro anni successivi che era frutto degli studi compiuti in gran parte prima che i terroristi di Al Qaida cambiassero il mondo, con il loro attacco a New York e Washington. Stavolta invece i generali sono stati costretti a tener conto delle lezioni imparate -spesso a caro prezzo - in Afghanistan e Iraq. Le Forze Speciali saranno le vere protagoniste delle operazioni militari americane del futuro. Il Pentagono intende aumentarne il numero del 15%. I Berretti Verdi dell'Esercito saranno quelli maggiormente potenziati, con un'aggiunta di circa 2.000 uomini alle 5.000 unita' attualmente disponibili. I Navy Seals, un'unita' di elite che oggi conta 2.000 uomini, ricevera' altre centinaia di rinforzi. Il comando Operazioni Speciali, che ha base a Tampa in Florida, ricevera' anche una squadra di16 droni Predator, che possono servire sia per ricognizioni in territorio nemico, sia per colpire con missili di precisione. Rumsfeld gia' nel 2002 aveva dato il compito di guidare la lotta al terrorismo al comando di Tampa, che controlla attualmente 52.000 uomini. Gli uomini delle Forze speciali oggi sono impegnati non solo sui fronti di guerra piu' visibili, come l'Iraq o l'Afghanistan, ma anche in operazioni di addestramento o di ricognizione in luoghi come le Filippine, la Mongolia, l'Africa sahariana, la Colombia, lo Yemen. Una delle priorita' per il futuro per il Pentagono sara' la possibilita' di dispiegare in tempi rapidissimi in tutto ilmondo le proprie unita' operative. Ecco cosi' che nel piano quadriennale predisposto per affrontare la Lunga Guerra viene dato ampio spazio al concetto di 'portata globale', cioe' alla capacita' di colpire velocemente nemici in qualsiasi parte del pianeta. L'Air Force intende sviluppare entro il 2018 un nuovo bombardiere a lungo raggio e conta di avere nel futuro prossimo una flotta composta per il 35% da velivoli senza pilota controllati a distanza e via satellite. Uno scenario a cui il Pentagono dedica particolare attenzionee' quello dell'Oceano Pacifico. Stando alle anticipazioni, gli Usa si preparano a incrementare la propria presenza navale nell'area. La US Navy intende avere in futuro sei delle proprie 12 portaerei di stanza in modo permanente nel Pacifico insieme al 60% di tutti i sommergibili. Il piano non indica per nome quali siano i paesi che gli Stati Uniti intendono tenere d'occhio, ma gli analisti militari ritengono che l'attenzione sia in primo luogo per la Corea del Nord e subito dopo per la Cina, sulla cui crescita militare il Pentagono continua a far circolare rapporti allarmati.

Friday, February 03, 2006

E' in libreria La mia vita nel braccio della morte (TEA, Euro 8,50), del mio amico Richard Michael Rossi, condannato a morte in Arizona. Un libro assolutamente da leggere per chiunque voglia conoscere la realtà del braccio della morte negli USA. Leggi la mia introduzione al libro.