SPIRIT OF AMERICA

America is a land of wonders, in which everything is in constant motion and every change seems an improvement ----------------------- ALEXIS DE TOCQUEVILLE

Saturday, July 29, 2006

Atomica non fa piu' paura, NORAD esce dalla montagna

Si spengono le luci nel bunker sotto una montagna del Colorado e un altro simbolo della Guerra Fredda lascia il posto ai nuovi scenari della guerra al terrorismo. Il Pentagono ha deciso di mettere progressivamente in 'standby' il proprio centro di comando di Cheyenne Mountain, trasferendo in una vicina base all'aperto gran parte delle operazioni del Norad, il cuore della difesa aerea Usa. La mossa e' stata decisa per rendere piu' efficaci le operazioni, integrando tutti insieme alla Peterson Air Force Base di Colorado Springs i comandi che si trovavano sotto la montagna e le strutture del ministero della Sicurezza Interna che sono state create dopo l'11 settembre. Ma il crepuscolo del bunker che dagli anni '60 era un simbolo della minaccia nucleare, descrive la rivoluzione di mentalita' e strategia in corso da anni al Pentagono. Anche per Hollywood e' un duro colpo, vista l'ispirazione che la montagna ha offerto in questi decenni. Da Henry Fonda in 'A prova d'errore' ai ragazzini hacker di 'Wargames' - all'alba dell'era del computer - sono molteplici le pellicole che hanno proposto l'immagine di un'America sull'orlo di una guerra nucleare, partita per errore e gestita dagli uomini sotto la montagna. Sparita l'Unione Sovietica, l'arrivo di un missile balistico intercontintale sugli Usa e' una possibilita' sempre piu' remota e l'equilibrio tra le superpotenze basato sulla minaccia di distruzione reciproca e' una cosa del passato. Quando nel 1961 il presidente John F.Kennedy fece scavare a colpi d'esplosivo la montagna del Colorado, per creare a 600 metri sotto la roccia un bunker che resistesse alla bomba atomica, le preoccupazioni della Casa Bianca erano concentrate su Mosca, non su terroristi armati di armi di distruzione di massa. Negli ultimi anni sempre piu' compiti e strutture operative sono stati trasferiti nella grande base aerea Peterson, che sorge in mezzo a una prateria a una ventina di chilometri da Cheyenne Mountain. L'ammiraglio Tim Keating, che in Colorado comanda sia il Norad, sia il Northcom - il comando del Pentagono che ha il compito di difendere il Nord America - ha fatto eseguire nei mesi scorsi studi su come rendere piu' efficace il lavoro dei propri uomini, divisi in due diverse localita'. ''Non posso essere allo stesso tempo in entrambi i posti'', ha detto Keating, nell'annunciare che i 1.100 militari che lavorano nella montagna verranno progressivamente trasferiti nella prateria. L'alto ufficiale non scorda l'esperienza vissuta dal suo predecessore, il generale dell'Aviazione Ralph Eberhart, che durante l'attacco dell'11 settembre fu sorpreso in viaggio tra le due basi e incontro' grandi difficolta' a contattare per telefono i propri ufficiali: organizzata per rispondere all' arrivo di un missile, la base si trovo' impotente di fronte agli aerei dirottati dai terroristi e usati come armi. Cheyenne Mountain non verra' certo abbandonata. L'ammiraglio Keating ha spiegato che verra' messa in stato di 'warm standby', cioe' con il personale ridotto al minimo per mantenere attivi i computer, pronti a girare a pieno regime nel caso di un' emergenza. ''Il cambiamento - ha detto il generale Eric Findley, uno dei vice di Keating - permettera' ai due comandi, Norad e Northcom, di lavorare insieme in modo piu' efficace, per far fronte alle loro missioni di difesa della sicurezza nazionale''. Gli investimenti fatti anche di recente nella base non sono certo quelli destinati a una struttura in via di smantellamento. Dall'11 settembre, l'intero centro di comando e' stato ristrutturato e la modernizzazione dei suoi sistemi, gia' costata 700 milioni di dollari, non e' ancora conclusa. Il bunker continuera' a ricevere tutta la complessa manutenzione necessaria per una struttura che deve essere pronta a resistere all'esplosione di un'atomica da 20-30 megatoni. Le pareti interne, per esempio, sono collegate alla roccia con 113.000 gigantesche viti lunghe da uno a 5 metri e nella base c'e' una squadra di tecnici che ha come unico compito quelle di regolarle continuamente. Mantenere pienamente operativa Cheyenne Mountain, secondo gli esperti militari, e' senza dubbio una buona idea anche se le minacce attuali sembrano renderla obsoleta. ''La possibilita' di un attacco missilistico nucleare puo' sembrare esile adesso - spiega John Pike, direttore di Global Security - ma occorre guardare al futuro, allo scenario tra 15 anni. Chi ci dice che i cinesi non provino a metterci nel mirino? E se non siamo preoccupati adesso per i russi, potremmo esserlo in futuro. Mi chiedo solo che tipo di minaccia sia necessaria, per indurci a tornare a rifugiarci nella montagna''.

Wednesday, July 26, 2006

Arriva il nuovo Monopoli, si usa la carta di credito

Se passi dal 'Via!' stavoltanon ti spettano le banconote: i soldi vanno direttamente sul tuo conto in banca, attraverso una carta elettronica. I tempi cambiano e dopo aver creato per 71 anni ricchezze che durano lo spazio di una partita, anche il Monopoli manda in pensione i soldi cartacei e si adegua all'epoca dei bancomat. Lo storico gioco nato in America nel pieno della Depressione degli anni '30 e diventato la passione di aspiranti imprenditori immobiliari in tutto il mondo, si sta rifacendo un lifting completo per restare sulla cresta dell'onda anche nel XXI secolo. La Hasbro, la societa' americana che produce il Monopoli, si appresta a lanciare una nuova versione che per la prima volta vedra' sparire i nomi delle proprieta' ispirati ad Atlantic City. Ma e' l'ingresso delle carte magnetiche la vera innovazione in un gioco che, dalla sua nascita, ha visto vendere 250 milioni di scatole a giocatori di almeno 80 paesi del mondo, in 26 diverse lingue. Prima di lanciare la versione elettronica sul mercato americano, la Hasbro ha scelto di sondare il terreno in Europa. Il Monopoli con l' 'Electronic Banking' debutta cosi' per primo in Gran Bretagna e le sue caratteristiche dovrebbero anticipare quelle dell'attesissima nuova versione americana, che uscira' nei negozi a settembre. Il passaggio dalla casella 'Go!' stavolta non prevede piu' la riscossione di denaro in contante. I giocatori dovranno invece inserire una carta magnetica personale in un apposito lettore, che accreditera' la somma sul loro conto in banca. Il passaggio alle carte elettroniche serve anche ad accelerare i ritmi del gioco, in un'epoca in cui e' sempre piu' difficile avere a disposizione ore e ore da dedicare al Monopoli. ''Niente puo' replicare il tipo di interazione sociale che garantisce un gioco da tavolo, soprattutto per i ragazzi e le famiglie - ha detto alla Abc Phil Orbanes, autore di un libro sulla storia del gioco lanciato dalla Parker Brothers nel 1935 -, ma non abbiamo piu' tutto il tempo disponibile che richiedono molti giochi. Per questo vedremo sempre piu' innovazioni del genere''. L'introduzione delle carte magnetiche, che sono piu' vicine al concetto del bancomat che a quello della carta di credito vera e propria, va di pari passo con la campagna lanciata da tempo dalla Hasbro per ridisegnare la mappa della celebre citta' del Monopoli. La versione che da sempre gira negli Usa prevede localita' come 'Park Place' o 'Boardwalk' (l'equivalente dell'italiano 'Parco della Vittoria') che risalgono alla toponomastica della Atlantic City degli anni Trenta. Negli ultimi mesi, la Hasbro ha lanciato un concorso online tra gli appassionati del Monopoli per far sceglier loro i nuovi nomi attingendo a monumenti e localita' celebri di 22 grandi citta' d'America. Le vecchie denominazioni spariranno quindi, in autunno, per lasciare il posto probabilmente al Golden Gate, a Times Square o alla Casa Bianca: dipende da quello che hanno votato i partecipanti al sondaggio su Internet, i cui risultati per il momento sono segreti. Cambieranno anche i costi delle proprieta', per adeguarli ai tempi, e i tagli delle banconote saranno piu' grossi. Anche il prezzo della scatola salira' a 30 dollari. E non sara' possibile pagarla con la finta carta di credito del Monopoli.

Thursday, July 20, 2006

L'embrione spinge Bush a giocarsi il primo veto

Thomas Jefferson e' di nuovo solo. L'autore della Dichiarazione d'Indipendenza e terzo presidente degli Stati Uniti, resta l'unico inquilino della Casa Bianca ad aver vinto per due mandati la tentazione di bloccare leggi del Congresso con un veto. L'altro presidente che fino a ora condivideva il primato con lui, George W.Bush, ha rotto l'incantesimo: una legge per rendere piu' facile la ricerca sulle cellule staminali embrionali lo ha spinto a intervenire. ''Questa legge permetterebbe di usare una vita umana innocente nella speranza di trovare benefici medici per altre'', ha detto Bush, parlando alla Casa Bianca circondato da 18 famiglie i cui bambini sono stati adottati come embrioni congelati, non utilizzati dalle cliniche per la fertilita'. ''Questi bambini e bambine non sono parti di ricambio'', ha aggiunto, indicando le famiglie e accusando la legge da lui bloccata di aver superato ''una barriera morale che la nostra societa' deve rispettare''. Dopo aver minacciato il veto per 141 volte da quando e' presidente, ottenendo quasi sempre modifiche alle leggi da parte della maggioranza repubblicana che controlla il Congresso, Bush sull'embrione ha scelto la strada dello scontro. Irremovibile di fronte ad appelli da parte di esponenti del suo partito ed editoriali dei giornali, oltre che di fronte ai sondaggi d'opinione, il presidente ha sbarrato la strada a un provvedimento appena varato dal Senato. La nuova legge prevedeva di rimuovere le restrizioni alla ricerca sulle staminali embrionali decise da Bush il 9 agosto 2001, in quello che fu uno dei primi atti significativi della sua presidenza. Il Congresso ha varato un testo, con ampie maggioranze nelle due camere, che ampliava le possibilita' per i centri di ricerca americani di ricevere finanziamenti federali, vincolati da limitazioni etiche e dal requisito di utilizzare solo embrioni delle cliniche di fertilita' destinati a essere eliminati. Ma Bush sulle staminali embrionali non intende fare passi indietro, dopo aver discusso a lungo il tema negli anni scorsi con un gran numero di scienziati, esperti d'etica e personalita' religiose. La ricerca medica ''puo' anche essere etica'', ha detto il presidente, sostenendo la necessita' di ''coltivare il potere della scienza per aiutare la sofferenza umana, senza violare la dignita' della vita umana''. Bush ha rivendicato di essere stato comunque il primo presidente americano ad aver finanziato la ricerca sulle staminali embrionali (90 milioni di dollari stanziati fino a ora), ma ha esortato la comunita' scientifica a dedicarsi con vigore alle ricerche sulle staminali adulte o su quelle del cordone ombelicale. Il Senato aveva approvato martedi' la legge con un voto di 63- 37, con quattro voti in meno del minimo necessario per annullare un veto presidenziale. Alla Camera, lo scorso anno, il voto era stato di 238-194 e quelli mancanti per opporsi al veto erano 50. Numeri che fanno ritenere ai promotori della campagna per la ricerca sulle staminali che qualsiasi legge, a questo punto, sia rinviata all'anno prossimo, quando sara' al lavoro il Congresso che emergera' dalle elezioni di novembre. La scadenza elettorale che si avvicina (e quella, piu' lontana, della corsa alla Casa Bianca nel 2008), e' sembrata lo stimolo principale dietro la ribellione dei repubblicani contro Bush, piu' che non una reale convinzione sulla necessita' di finanziare con fondi federali la ricerca sull'embrione. I sondaggi dicono che per il 70% degli americani e' accettabile distruggere embrioni, se questo serve a far avverare le promesse scientifiche - per ora rimaste tali - di sconfiggere con le staminali embrionali patologie come l'Alzheimer. A scendere in campo fino all'ultimo minuto per cercare, senza successo, di convincere Bush a cambiare idea, sono stati anche pezzi da novanta del mondo repubblicano come il governatore della California, Arnold Schwarzenegger e l'ex First Lady Nancy Reagan, da tempo una sostenitrice della ricerca sulle staminali. Ma anche il campo opposto, quello dei conservatori contrari a ogni intervento sull'embrione, si e' mosso in forze e ha mandato segnali di forte apprezzamento per il veto di Bush. L'influente organizzazione 'Focus on the family', per esempio, ha lodato nel presidente ''la rara forza di carattere e il coraggio nella difesa dei non ancora nati''. Bush ha trascorso la mattinata di mercoledi' con la penna in mano, in attesa dell'arrivo della legge sulla sua scrivania, pronto a rispedirla al mittente. Il potere di veto e' stato usato con abbondanza dai predecessori di Bush, ma l'attuale presidente era sempre riuscito ad evitarlo. Ronald Reagan in otto anni vi fece ricorso 78 volte (e il Congresso ne annullo' gli effetti in nove casi). George Bush padre blocco' 44 leggi in quattro anni, uscendo sconfitto una sola volta, mentre Bill Clinton uso' il veto 38 volte in quattro anni, contro un Congresso a lungo nelle mani dei repubblicani, che in due casi riuscirono a sopraffarlo. In due successive occasioni, Clinton intervenne come l'attuale presidente sul terreno della bioetica, vietando due volte leggi che proibivano l'aborto in stato avanzato di gravidanza.

Wednesday, July 12, 2006

Bush, Guantanamo e la Convenzione di Ginevra

Il Congresso americano apre ildibattito su come uscire da Guantanamo e trova una sorpresa preparata da Casa Bianca e Pentagono. Dopo aver detto per anni l'esatto contrario, l'amministrazione Bush riconosce ora che anche ai presunti seguaci di Al Qaida e dei taleban detenuti a Guantanamo spettano i diritti previsti dalla Convenzione di Ginevra: condizioni umane di prigionia e protezioni legali. La sconfitta subita lo scorso 29 giugno di fronte alla Corte Suprema e l'imminenza del viaggio in Europa per il G8, hanno spinto il presidente George W.Bush a dare il via alla lenta retromarcia che dovra' portare a una soluzione del caso Guantanamo. La Casa Bianca, consapevole che gli alleati europei si apprestano nei prossimi giorni a ribadire a Bush la loro richiesta di chiudere la prigione militare, ha spronato il Pentagono a compiere passi concreti per rispondere alle indicazioni del massimo organo giudiziario americano. Il riconoscimento che tutti i detenuti custoditi dai militari Usa, in ogni parte del mondo, sono protetti dalla Convenzione, e' contenuto in un memorandum firmato il 7 luglio scorso dal sottosegretario alla Difesa Gordon England. Ma le nuove disposizioni sono diventate pubbliche solo nel primo di vari giorni di dibattito in Congresso sulle iniziative di legge necessarie per far fronte alle indicazioni dei giudici di Washington. La Corte Suprema, con una storica sentenza decisa con un voto di 5-3, ha bocciato le 'commissioni militari' e le procedure speciali decise dal Pentagono per giudicare i detenuti di Guantanamo, sottolineando in particolare che a renderle inaccettabili e' la mancata concessione ai prigionieri delle disposizioni previste dall'articolo 3 della Convenzione di Ginevra del 1949. Il trattato contro le torture e i maltrattamenti dei detenuti prevede, tra l'altro, che ne sia rispettata la ''dignita' personale'' e vieta sentenze nei loro confronti decise senza concedere ''tutte le garanzie giuridiche riconosciute indispensabili dai popoli civilizzati''. Il passo dell'amministrazione Bush non significa pero', per ora, la rinuncia a dar vita ai processi militari speciali, ne' tantomeno la chiusura di Guantanamo. Per il portavoce della Casa Bianca, Tony Snow, la nuova direttiva data ai comandanti militari ''non rappresenta un'inversione della nostra linea politica''. Una piu' chiara definizione dei diritti dei detenuti, secondo Snow, non incide sulla decisione del presidente di lavorare con il Congresso per portare i detenuti di fronte ai tribunali militari. Il trattamento dei prigionieri, ha aggiunto il portavoce di Bush, e' sempre stato ''umano'' e ha rispettato la Convenzione di Ginevra, sia pur non applicandola formalmente. I primi esperti legali dell'amministrazione Bush che hanno cominciato a sfilare di fronte alla commissione giustizia del Senato - che sta valutando le conseguenze della sentenza della Corte su Guantanamo - sono andati nella stessa direzione. Daniel Dell'Orto, uno dei principali esperti giuridici del Pentagono, ha sottolineato che il memorandum di England ''non rappresenta un cambio di direzione'' e ha sostenuto che le commissioni militari, cosi' come sono state pensate, ''garantiscono il diritto all'assistenza legale da parte di un consulente militare e di uno privato scelto dal detenuto''. Per Steven Bradbury, un funzionario del ministero della Giustizia, la decisione della Corte deve dare al Congresso e all'amministrazione Bush ''l'opportunita' di lavorare insieme'' per riconoscere la legalita' dei processi militari speciali e permettere cosi' ''di portare i terroristi di fronte alla giustizia''. Una serie di avvocati difensori dei detenuti premono invece sul Congresso perche', di fronte alla scelta della Corte Suprema, decida che la migliore via d'uscita e' far giudicare i prigionieri da corti marziali ordinarie o da corti federali. A Guantanamo si trovano attualmente oltre 450 detenuti, tra i quali solo 10 sono stati formalmente incriminati e attendono di essere processati dalle commissioni militari, create da Bush dopo l'attacco dell'11 settembre 2001 e fino ad oggi non ancora entrate in funzione. I senatori per ora studiano la situazione e si mostrano scettici sulle reali intenzioni dell'amministrazione Bush. Prima di preparare proposte di legge che rispondano alle direttive della Corte Suprema, il Congresso ascoltera' un gran numero di testimoni e lascera' passare la pausa estiva di agosto. Il dibattito entrera' cosi' presumibilmente nel vivo in autunno, nel pieno della campagna per le elezioni politiche di novembre. ''Non daremo al ministero della Difesa alcun assegno in bianco'', ha promesso il presidente della commissione giustizia del Senato, il repubblicano Arlen Specter, dopo aver appreso della nuova direttiva di England. ''Le commissioni militari - ha aggiunto il suo collega democratico Patrick Leahy - non devono diventare degli inganni. Dovranno essere in linea con gli alti standard della giustizia americana''.

Monday, July 10, 2006

Coca-Pepsi, spy story tra le bollicine

La tentazione deve esserci stata. Dopo una guerra delle bollicine che va avanti dalla fine dell'Ottocento, la Pepsi nei giorni scorsi si e' trovata tra le mani i segreti su una nuova bibita dalla rivale di sempre, Coca- Cola. In cambio di un milione e mezzo di dollari, la Pepsi poteva ottenere informazioni che valgono miliardi, ma ha scelto il fairplay: ha avvertito i vertici della 'Coke', che a loro volta hanno fatto intervenire l'Fbi. Tre persone, tra le quali l'assistente di un top manager di Coca-Cola, sono finite in manette ad Atlanta, dopo che un agente sotto copertura dell'Fbi ha finto di stare al gioco e ha filmato e registrato i tentativi del terzetto di diventare ricchi con i segreti del produttore della bevanda piu' famosa del mondo. Un epilogo da spy-story estiva, con gli spioni che consegnano documenti riservati dentro una borsa di Armani e l'agente del Bureau che paga in contanti, con banconote nascoste in una scatola di biscotti fatti dalle Girl Scouts. Il lieto fine ha visto i 'cattivi' finire in cella e i manager dei due colossi scambiarsi complimenti. Coca-Cola ha ringraziato Pepsi per il proprio comportamento e per aver messo in guardia i rivali. I vertici della Pepsi, da parte loro, hanno diffuso un comunicato spiegando di aver agito ''come farebbe qualunque azienda responsabile: la competizione puo' essere intensa, ma deve anche essere corretta e legale''. Tutto e' cominciato quando Joya Williams, 41 anni, una 'executive administrative assistant' nel quartier generale di Coca-Cola ad Atlanta ha pensato di poter far soldi, in modo illegale, sfruttando il proprio accesso ai fascicoli riservati e alle stanze dove l'azienda discute i propri nuovi prodotti. Per tentare il colpo, la Williams si e' fatta aiutare da due amici, Ibrahim Dimson e Edmund Duhaney. Usando il soprannome 'Dirk', Dimson secondo l'accusa il 19 maggio ha inviato una lettera alla Pepsi su carta intestata con il logo Coca-Cola, offrendo i segreti della casa di Atlanta. I vertici delle due aziende si sono scambiati informazioni sullo spionaggio industriale in corso ed e' stato chiesto l' intervento dell'Fbi. A un agente sotto copertura, Dimson ha consegnato un primo involucro con 14 pagine marcate 'Classified - Confidential' che documentavano una nuova bevanda pronta ad essere lanciata sul mercato. 'Dirk' ha ricevuto 10.000 dollari per quella prima consegna e altre migliaia di dollari in successivi incontri con l'agente dell'Fbi. Gli investigatori hanno voluto attendere prima di intervenire, per risalire alla talpa che forniva il materiale a Dimson. Nel frattempo, 'Dirk' inviava email alla propria controparte - l'agente dell'Fbi che fingeva di essere un manager della Pepsi - vantandosi di potergli far avere ''prodotti e idee di marketing e di packaging che sono state viste al massimo solo dai 5 dirigenti di piu' alto livello'' di Coca-Cola. Piazzando telecamere nel quartier generale della societa' di Atlanta, l'Fbi ha individuato nella Williams la spia e l'ha filmata mentre prelevava documenti e prodotti, compresa una innovativa bottiglia con un'etichetta bianca che conterra' una bevanda che Coca-Cola si appresta a lanciare sul mercato. Joya Williams era l'assistente di Javier Sanchez-Lamelaz, direttore globale del marchio 'Coke' e responsabile per lo sviluppo di nuovi prodotti su scala planetaria. Dimson ha consegnato i documenti e la bottiglia di vetro, in una borsa di Armani, all'uomo dell'Fbi nel corso di un incontro il 16 giugno all'aeroporto di Atlanta: le telecamere degli investigatori del Bureau hanno ripreso tutto. I tre spioni erano pronti al colpo finale. Il 4 luglio si aspettavano di ricevere un milione e mezzo di dollari per l'ultima consegna di documenti con i segreti della 'Coke', ma a quel punto l'Fbi aveva indizi sufficienti su di loro e sono scattati gli arresti. L'amministratore delegato di Coca-Cola, Neville Isdell, in un messaggio ai dipendenti ha garantito loro che i segreti aziendali non sono stati compromessi e ha promesso ''una profonda revisione dei nostri meccanismi di protezione delle informazioni e delle procedure, per assicurare che continueremo a salvaguardare il nostro capitale intellettuale''.