Terremoti, l'allarme nell'oceano sbagliato
L'allerta ha raggiunto in tempo la base militare sull'isola Diego Garcia, nel mar Arabico, da dove lo scorso anno partivano gli aerei per bombardare l'Iraq. C'e' stato il tempo anche di contattare i diplomatici americani in Madagascar o sulla costa dell'Africa. Ma il centro per gli tsunami alle Hawaii non e' riuscito a fare molto di piu', in un fine settimana natalizio, per trovare il modo di avvertire i paesi dell'oceano Indiano del disastro in arrivo.
Mentre l'Onu rilancia la necessita' di dar vita al piu' presto a un sistema di diffusione dell'emergenza-tsunami nella fetta di mondo tra l'Africa e l'Indonesia, emergono i retroscena dell'impotente corsa contro il tempo tentata dagli scienziati del Pacific Tsunami Warning Center di Honolulu, la torre di guardia da dove gli Usa controllano terremoti e maremoti nel Pacifico.
Nell'indirizzario della stazione oceanografica americana c'era una lunga serie di contatti, ma tutti nell' oceano 'sbagliato': gli avvertimenti per il rischio di innalzamento del livello del mare sono partiti per le isole Fiji, il Cile o la California, ma non per le zone realmente a rischio. Per gli esperti alle Hawaii, inoltre, non c'era modo di sapere se la scossa di terremoto registrata dai sismografi avrebbe provocato o meno tsunami: ne hanno avuto la tragica certezza solo quando sono arrivate le prime notizie delle onde assassine a Sri Lanka.
- IL PRIMO ALLARME: Alle 14:59 del pomeriggio del sabato di Natale, ora di Honolulu (le 1:59 di domenica in Italia), i computer del Centro tsunami hanno prodotto un messaggio automatico per segnalare un terremoto al largo di Sumatra, calcolato inizialmente come magnitudo 8.0. Nessuno era presente in quel momento nella stazione di rilevamento a Ewa Beach, alle Hawaii, ma il messaggio e' rimbalzato sui computer a casa dei funzionari del Centro, che sono arrivati in fretta in ufficio.
Nel giro di un'ora, e' partito un primo bollettino sul terremoto che avvertiva anche della ''possibilita' di tsunami'', ma solo vicino all'epicentro. ''Basandoci sul fatto che era un terremoto da 8.0 - ha raccontato Charles McCreery, il direttore del Centro tsunami - abbiamo ritenuto che i danni sarebbero stati confinati a Sumatra e ci sarebbe stato uno tsunami locale, nel giro di pochi minuti. Non eravamo preoccupati a quel punto che potesse essere un evento piu' vasto''.
- I CONTATTI: Se anche fossero stati piu' preoccupati, gli scienziati americani non avrebbero saputo a chi dirlo. La lista dei loro contatti e' vasta e accurata, ma riguarda quasi interamente l'oceano Pacifico. Tra coloro che ricevono le allerta via email del Centro tsunami c'e' anche la U.S.Navy, la Marina militare ed e' per questo che il messaggio e' arrivato alla base militare di Diego Garcia. Per il resto, pero', i referenti erano tutti in un'altra zona del mondo. Con l'eccezione dell'Indonesia, che affacciandosi anche sul Pacifico ha ricevuto il messaggio americano: non e' chiaro pero' l'uso che ne ha fatto. L'assenza di modelli computerizzati relativi all'oceano Indiano e di boe e strumenti di rilevamento nello stesso oceano, rendeva impossibile per gli esperti alle Hawaii prevedere cosa poteva accadere per il sisma a Sumatra. Nel Pacifico e' invece in vigore una sofisticata rete di sensori e un network per lo scambio di informazioni tra i vari paesi. Alle Hawaii esiste un sistema di sirene e radio d'allarme che avverte dell'arrivo di onde anomale.
- LA CATASTROFE: Con il passare del tempo, i dati arrivati alle Hawaii hanno indicato che il terremoto era stato di magnitudo 9.0, una differenza enorme in termini geologici e dal punto di vista delle possibili conseguenze. A quel punto e' diventato chiaro che il rischio tsunami nell'area era assai piu' vasto del previsto.
Ma solo quando sono arrivate le prime notizie dallo Sri Lanka e' stato evidente che qualcosa di terribile stava muovendosi sotto la superficie dell'oceano Indiano. ''Volevamo provare a fare qualcosa - ha raccontato McCreery al New York Times - ma senza un piano non c'era un modo efficace di emettere un'allerta o di diffondere messaggi di avvertimento. Mi e' venuto in mente quante volte il nostro gruppo internazionale sugli tsunami, nelle conferenze del passato, ha avuto discussioni su cio' che poteva essere fatto negli altri oceani. Con il senno di poi, vorrei che avessimo fatto dei progressi in quella direzione''.
Invece c'e' stato solo il tempo, per gli scienziati alle Hawaii, di parlare con l'ambasciatore americano a Sri Lanka, che voleva rassicurazioni su possibili nuove ondate e di contattare i diplomatici degli Usa sulla remota costa dell'Africa, per metterli in guardia. Per cercare di salvare migliaia di persone in India, Sri Lanka, Thailandia, Maldive e Indonesia, pero', era ormai troppo tardi.
1 Comments:
At 12/29/2004 01:11:00 PM, Anonymous said…
Ciò che mi ha più impressionato di tutta la vicenda dello tsunami, sono le storie particolari della gente che si è dovuta barcamenare tra cadaveri, ruderi, disperazione e ansia a trovare i propri cari dispersi, a cercarsi. La seconda cosa che mi ha colpito è il fatto che ancora non si sa quanti morti ci sono stati a Beslan e la stampa pretende di contare quanti ce ne sono stati sulle coste dell'Oceano indiano: mi fanno ridere, perché è l'unico argomento che riescono a trattare. In fondo però li capisco, quella della conta dei morti è l'unico "sport" in cui ci si può "capire" senza prendere il largo di argomenti in cui per capirsi bisogna usare una parola presuntuosamente dimenticata: mistero. L'unica cosa che non vorrei vedere è un'altro altare della Patria che ci faccia sublimare nella memoria civica un fatto sporcamente umano, tra l'uomo e Dio.
Tom Bishop
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